ULCERA
ULCERA GASTRICA Lesione peptica, singola o multipla, che colpisce con frequenza pressoché pari i due sessi fra i 50 e i 70 anni. È localizzata più spesso lungo la piccola curva, può essere associata a gastrite del fondo, a u. duodenale, oppure può, nel caso di lesioni prepiloriche, comportarsi come una vera e propria u. duodenale. Le dimensioni della lesione assumono importanza in questo caso, dato che la presenza di un'u. con diametro superiore a 3 cm, o di ulcerazioni multiple scarsamente rispondenti alle terapie mediche, pone un fondato sospetto di tumore ulcerato dello stomaco. Il quadro clinico è caratterizzato da un dolore epigastrico, con insorgenza da 30 minuti a un'ora e mezza dopo i pasti, spesso con irradiazioni lungo le ultime due costole e alle vertebre dorsali basse; anche nell'u. i sintomi presentano una periodicità annuale (con recidive primaverili e autunnali), con riduzione dei disturbi dopo assunzione di cibo o antiacidi. In questa forma di lesione peptica sono forse più comuni i casi asintomatici, così come icali ponderali per anoressia, mentre fra le complicanze compaiono più frequentemente i sanguinamenti, le stenosi e la cancerizzazione, assente nell'u. duodenale, benché ancor oggi sia poco chiaro se le u.-cancro siano tali fin dall'inizio, oppure degenerino in un secondo momento. La diagnosi è endoscopica, di rado radiologica, con l'obbligo di effettuare prelievi bioptici multipli, specie nei casi con sospetto di neoplasia o di presenza di Campylobacter. ULCERA DUODENALE Lesione peptica, singola o multipla, più frequente nel sesso maschile che in quello femminile, in soggetti fra i 20 e i 40 anni, localizzata nel 90% dei casi entro 3 cm dalla giunzione gastroduodenale, ragione per cui viene spesso detta u. bulbare. È molto frequente, tanto che la diffusione si è stimata vicina al 10% della popolazione nei Paesi industrializzati. Si tratta di una malattia cronica che, se non curata, presenta un'incidenza di recidive del 90% circa entro due anni dal primo attacco. Il sintomo cardine è un dolore epigastrico: insorge da un'ora e mezza a tre ore dopo i pasti, a volte sostituito da pirosi; talora manca del tutto, al più è presente una lieve dispepsia. Non di rado, al contrario, compare una sintomatologia tipicamente ulcerosa, in assenza di lesioni dimostrabili: in questi casi si parla di dispepsia (o duodenite) non ulcerosa. Al dolore si associano spesso vomito, nausea, anoressia, eruttazioni acide, senso di gonfiore epigastrico, a volte reazione di difesa nei quadranti addominali superiori, dolore alla palpazione lungo l'ultima costola destra e riferito anche alle ultime vertebre dorsali. I disturbi tipicamente compaiono in primavera e in autunno, tendono a ridursi con l'assunzione di cibo o antiacidi e, nel caso si presentassero, sia lungo la giornata sia durante l'anno, delle differenze nella periodicità, andrà sospettata la comparsa di complicanze. Le complicazioni più frequenti sono il sanguinamento, la stenosi pilorica o bulbare, la penetrazione dell'u. in altri organi (più spesso nel pancreas) e la perforazione. La diagnosi è endoscopica, raramente radiologica, mentre nei casi con lesioni poste nella seconda porzione duodenale, si impone la ricerca di un'eventuale sindrome di Zollinger-Ellison, specie se non si sono avute risposte alla terapia medica. ULCERA PEPTICA Lesione a forma di nicchia tondeggiante, singola o multipla, che colpisce mucosa e sottomucosa degli organi del tratto digerente superiore, più spesso stomaco e bulbo duodenale, ma anche esofago e seconda porzione del duodeno. Le cause non sono ancora ben definite, ma si sa che l'u. compare nei casi in cui si rompe l'equilibrio tra fattori aggressivi, cioè acido cloridrico e pepsina, e fattori difensivi, cioè il muco, la barriera costituita dalla tonaca mucosa e gli ormoni gastrointestinali inibitori. Attualmente si ritiene che la maggior parte delle u. non provocate da farmaci antinfiammatori non steroidei sia attribuibile a un'infezione causata dal batterio Helicobacter pylori. Accanto alle terapie tradizionali antiulcera, basate sugli antagonisti dei recettori H (ranitidina, famotidina, cimetidina), su inibitori della pompa protonica (omeprazolo) o su antiacidi, sono comparse così terapie antiulcera a base di antibiotici. Naturalmente, prima di stabilire la terapia occorre stabilire la presenza di infezione da Helicobacter pylori. Tale diagnosi, fino a poco tempo fa, richiedeva tecniche invasive (una endoscopia e una biopsia gastrica), ma recentemente è stato messo a punto in U.S.A. (e disponibile anche in Italia) un test non invasivo dell'aria espirata. Il test consiste nel fare ingerire al paziente un liquido contenente urea C (non radioattiva), e successivamente nel fargli espirare aria entro un contenitore. In presenza dell'Helicobacter pylori l'ureasi batterica idrolizza l'urea liberando 13CO2, che viene rilevata con uno spettrometro di massa. Le terapie antiulcera contro l'infezione da Helicobacter pylori sono basate essenzialmente su antibatterici quali il bismuto sottocitrato, l'amoxicillina, la claritromicina, il metronidazolo e la tetraciclina. Solitamente si impiegano due antibatterici insieme a un inibitore dei recettori H o a un inibitore della pompa protonica. Tali schemi terapeutici, somministrati per una-due settimane, hanno eradicato l'infezione da Helicobacter pylori nel 60-95% dei casi. Nell'u. duodenale prevalgono i fenomeni aggressivi, in particolare è comune un aumento della secrezione acida; mentre nelle lesioni gastriche, specie se associate a gastrite, assume maggior importanza il venir meno dei fenomeni difensivi, per cui di solito la rigenerazione dell'epitelio di rivestimento risulta rallentata, con cedimento della barriera mucosa. Altri fattori che intervengono nell'insorgenza dell'u. sono: abitudini voluttuarie (fumo di sigaretta, alcol e caffè); predisposizione familiare a sviluppare la malattia ulcerosa; cause psicosomatiche e farmaci, in particolar modo i cortisonici e l'acido acetilsalicilico, benché in definitiva si debbano considerare lesivi tutti gli antinfiammatori, gli antifebbrili e gli antidolorifici (anche se non assunti per bocca), oltre a molti altri farmaci. Ultimamente si è fatta strada l'ipotesi che anche un batterio, Campylobacter, possa giocare un ruolo nella genesi dell'u., specie come fattore ritardante la guarigione e favorente le recidive. La terapia è, dall'inizio degli anni Ottanta, principalmente medica: si calcola che allo stato attuale meno dell'1% dei pazienti necessiti di cure chirurgiche. I farmaci di uso più comune sono: gli antistaminici anti-H2 (cimetidina, ranitidina, famotidina, nizatidina e niperotidina), che bloccano la produzione di acido per stimolo istaminico; gli antiacidi (idrossido di magnesio e di alluminio), che neutralizzano l'acido presente nel lume gastrico; i citoprotettori (sucralfato, sali di bismuto e prostaglandine), che aumentano i naturali meccanismi di difesa della mucosa gastroduodenale; la pirenzepina, farmaco antivagale, efficace ma gravato da discreti effetti collaterali; il carbenoxolone, utile ma poco usato per l'azione di ritenzione idrosalina; molto promettente, al contrario, si sta dimostrando l'omeprazolo, farmaco in grado di bloccare la sintesi di acido da parte delle cellule parietali gastriche. La terapia medica è molto efficace, portando a guarigione entro 4 settimane l'80% dei pazienti con u. duodenale e il 70% di quelli con lesione gastrica; una terapia ben condotta porta le percentuali di guarigione attorno al 90% entro 12 settimane, mentre la modificazione del farmaco o l'aumento delle dosi sono in grado di risolvere i disturbi quasi nel 100% dei malati. Le recidive sono assai frequenti: circa il 90% degli affetti ha riacutizzazioni a due anni dal primo attacco; e ciò rende fondamentale una terapia continuativa a basse dosi praticamente per tutta la vita. La terapia chirurgica, riservata ai rari pazienti che non si sono giovati delle cure mediche, o a quei casi che hanno presentato gravi complicanze, si basa sulla vagotomia, di solito associata a piloroplastica, oppure sulla gastroduodenostomia o sulla gastrodigiunostomia: interventi, questi ultimi, spesso gravati da disturbi postoperatori, definiti nel loro insieme «sindromi postprandiali dei gastroresecati». ULCERA VENEREA Detta anche u. molle o streptobacillosi, è un'infezione contagiosa, autoinoculabile, propria della specie umana, sostenuta dallo streptobacillo di Ducrey (Haemophylus Ducreyi). Il contagio più frequente è quello diretto per mezzo del rapporto sessuale e di conseguenza le lesioni sono localizzate quasi esclusivamente agli organi genitali; dopo un periodo di incubazione di 2-3 giorni, la malattia inizia con ulcerazioni di solito multiple per innesto plurimo o per autoinnesto, tondeggianti con un diametro di 5-20 mm, con tendenza ad approfondirsi nel derma. ULCERA DELLE GAMBE Detta pure u. varicosa della gamba, rappresenta spesso l'alterazione predominante del quadro sintomatologico delle varici venose; si manifesta di solito unica al terzo distale o sulla caviglia con margini a picco, fondo irregolare con granulazioni molli sanguinanti e violacee intercalate a piccole aree giallo-grigiastre a contenuto puruloide e necrotico; la cute circostante è pigmentata e la sua sensibilità tattile e dolorifica risulta diminuita.